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Il tennis nel nuovo millennio

Questa sesta e ultima parte chiude il lungo racconto della secolare storia del tennis con la narrazione dell'ultimo periodo iniziato negli anni duemila.

L'organizzazione politica del tennis si è tuffata nel nuovo millennio introducendo importanti cambiamenti. Nello specifico, ha dovuto affrontare alcune problematiche dovute all’ingresso dei materiali in kevlar che hanno modificato gli attrezzi trasformando il gioco. Inoltre, anche le palle e le corde contribuirono a cambiare il profilo di prestazione. Pertanto, la federazione internazionale (I.T.F.) preoccupata da un tennis sempre più potente e immediato, dove il servizio e la fisicità tendevano sempre più a prendere il sopravvento, intervenne per frenare la fenomenologia in arrivo.

Nei primi anni duemila la I.T.F. decise quindi di razionalizzare alcuni aspetti del gioco tra i quali le pause tra un punto e l'altro e in particolare le superfici dei campi creando una sorta di omologazione. In altre parole, l’istituzione cercò di rendere l’erba più lenta e la terra più veloce, mirando ad equilibrare le differenti peculiarità ambientali. Questo nuovo indirizzo condusse verso l’ipertrofia del rimbalzo, tipico dei campi in cemento con resine porose, rendendolo ovunque ben più alto che in precedenza su ogni tipo di terreno di gioco.

Da quel momento in poi tale decisione (causa) ha reso il tennis dopo il rimbalzo più frenato (effetto), mediando così all’eccessiva velocità della palla durante la sua traiettoria nell’aria. Un fatto che nel tempo ha determinato la progressiva diminuzione dell’impiego della volèe e del gioco di ricamo, a favore di un tennis muscolare, rudemente attuato dopo il rimbalzo. Risultato finale: fisicità e potenza, aspetti che si volevano limitare, sono invece esplosi propagandosi sempre più nel cosmo del tennis producendo modelli di tennisti robotizzati.

Questi cambiamenti hanno dunque permesso il mutamento di una disciplina secolare ricca di interpretazioni asfaltando gli stili di gioco. Per la prima volta, fin dagli albori di quest'arte, si sono rivelati tennisti molto alti che disertavano in forma sistematica il gioco a rete, preferendo quello di rimbalzo da fondo campo. Questo perché, come già detto, la palla in aria era diventata troppo immediata e viceversa più lenta dopo gli alti rimbalzi. Fondamento che di fatto ha allontanato i contendenti dal campo introducendo un tennis giocato da molto lontano aspettando “rimbalzo Godot”.

Malgrado queste vicissitudini che hanno dato vita all’ossimoro tennistico di un gioco velocemente lento, i grandi campioni hanno saputo comunque smarcarsi. Le leggendarie racchette che si sono susseguite dai primi anni duemila ad oggi, hanno saputo conservare buona parte dell’arte del gioco distinguendosi dalla religione del muscolo seguita dall’universale come autentici cavallieri apocrifi.

In ambito femminile l’evoluzione portata nel nuovo millenio è stata assimilata nelle gesta dalle sorelle afroamericane Williams che riuscìrono a stroncare la carriera della svizzera Martina Hingis. Un’artista sopraffina della racchetta sostituita fortunatamente sul palcoscenico del teatro del tennis dalla belga Justine Henin, tennista non meno virtuosa dell’elvetica.

Successivamente, altre campionesse Slam hanno lasciato il segno sul terreno di gioco. Per intenderci, tenniste come la belga Kim Cljsters, La francese Amelie Mauresmo, la cinese Na Li, la ceca Petra Kvitova, la bielorussa Vika Azarenka e la russa Maria Sharapova.

Ciononostante, la dittatura annunciata delle sorelle Williams ha fatto la vera differenza oscurando tutte le altre figure rendendole mere comprimarie. In principio il trono toccò a Venus regina di cinque titoli a Wimbledon, successivamente alla sorella minore Serena con ventitre titoli Slam e due ori olimpici.

Malgrado ciò rimarrà a lungo nella memoria degli appassionati la semifinale perduta da Serena Williams agli US Open del 2014, un torneo che l’avrebbe portata alla conquista del Grande Slam. Una vetta che solo Maureen Connolly nel 1953, Margaret Court Smith nel 1973 e Steffi Graf nel 1988 hanno saputo scalare.

In quel fatidico momento la sorte ha voltato le spalle a Serena stritolata dal peso della storia, mentre sorrideva a Flavia Pennetta prima italiana a vincere agli US Open. Seconda azzurra a vincere in un torneo dello Slam dopo Francesca Schiavone che colse il Roland Garros del 2010. Quell’attimo per Serena Williams ha costituito l’inizio della parabola discendente della carriera e l’insediamento momentaneo di una nuova regina, la solida tedesca Angelique Kerber.

Tuttavia, seppur lontana dai suoi anni verdi, la differenza tra la trentaseienne Serena e le altre si è dimostrata abissale. Un fatto che ultimamente le ha permesso di tornare ancora al numero uno.

Contemporaneamente nel tennis maschile l’inizio di questa nuova era ha visto arrivare al vertice le meteore dello spagnolo Juan Carlos Ferrero, del russo Marat Safin, dell’australiano Pat Rafter e dell’americano Andy Roddick. Un discorso a parte merita “canguro” Leyton Hewitt che è rimasto per oltre ottanta settimane in cima al mondo riportando il titolo di Wimbledon, degli US Open e della Coppa Davis in Australia.

Del resto, il 2003 è stato l’anno che ha traghettato il tennis verso una nuova dimensione grazie all’esplosione della stella abbagliante dello svizzero Roger Federer, il signore di Wimbledon. Un campione che ha segnato il record di diciotto titoli Slam e di 302 settimane al vertice della classifica ATP. Un fenomeno capace di coniugare l’arte antica del gioco nello spazio tempo moderno.

La carriera di Federer, come molti sanno, è stata condivisa con quella dello spagnolo Rafael Nadal, un tennista che ha fatto delle variazioni rotanti e delle traiettorie impossibili la sua fortuna. “Nessuna palla è uguale a quella che la precede. Nessun colpo è identico a un altro” è uno dei pensieri che definiscono la sapienza dello spagnolo. Unico tennista in grado di frenare l’egemonia dello svizzero nonché a sovrastarlo negli incontri diretti. Inoltre, Rafael è riuscito nell’impresa di frantumare i record impensabili di Bjorn Borg al Roland Garros di Parigi, alzando l’asticella a nove titoli.


In questi ultimi anni, malgrado le gesta del campione argentino Juan Martin Del Potro e dello svizzero Stan Wawrinka, la corona di re del tennis è stata stabilmente sulla testa del serbo Novak Djokovic, mister dodici Slam e recordman agli Australian Open. Un campione che pare l’evoluzione di Mats Wilander, pur possedendo ben altra cilindrata rispetto allo svedese. Il regno di Novak ha imposto attimi di assoluto terrificante dominio. Dominio che pareva non aver fine.

Ciononostante, nella parte finale del 2016 lo scozzese Andy Murray ha messo la freccia per un sorpasso in curva che sembrava impossibile. Lo statuario Murray che avrebbe nel braccio l’arte di Rosewall, è riuscito a imporre il suo tennis speculativo salendo per la prima volta sul trono mondiale, forse grazie in parte anche alle flessioni di Djokovic, Federer e Nadal.

A onor del vero va detto che la tenacia di Murray all’inseguimento della prima posizione mondiale è stata lunga e costante. Una posizione che il buon Andy dovrà difendere soprattutto dal possibile ritorno dei suoi storici rivali. “Restituirei tutto il mio prize money pur di vincere Wimbledon” è una dichiarazione dello scozzese che conferma come per i grandi campioni la gloria venga prima di ogni altra cosa.

In conclusione, questa lunga narrazione giunta al termine in questa sua sesta parte, suggerisce ora di guardare verso l’orizzonte. Il prossimo futuro riserverà certamente altri cambiamenti. Il primo da affrontare riguarderà il ricambio degli attuali protagonisti, autentiche leggende giocanti di questo sport. Si tratta di un processo complicato che preoccupa addetti ai lavori e appassionati.

Malgrado ciò, la storia insegna che lungo il suo decorso sono stati superati monumenti titanici come Lawrence Doherty, Bill Tilden, Suzanne Lenglen, Donald Budge, Maurene Connolly, Rod Laver, Margaret Court, Bjorn Borg, Steffi Graf, Pete Sampras, solo per citarne alcuni. Questo incontrovertibile fatto dovrebbe portare verso un sensibile ottimismo perché la forza colossale del tennis ha dimostrato di essere stata sempre oltre le gesta dei suoi straordinari campioni. Almeno questo è quanto personalmente mi auguro accada nei prossimi anni.

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