La prima volta a Wimbledon non si scorda mai. L'atmosfera è ricca di storia, ad ogni respiro il tennis diventa ossigeno e la magia del gioco rapisce la mente e il corpo per sempre, nessuno è mai riuscito a scampare all'attrazione fatale del gioco ai Championship.
Così accadde in principio anche a Spencer Gore, vincitore della prima edizione, al suo avversario e a tutti i presenti. Era il 1877 e l'incantesimo si è protratto ad oggi in modo prorompente. Quanto appena detto riassume l'essenza di Wimbledon, il Torneo dei Tornei, l’evento che ha saputo attraversare il tempo acquisendo vigore e splendore.
Da Spencer Gore a Novak Djokovic, da Maud Watson a Serena Williams, la strada è stata lunga e tortuosa e caratterizzata da cambiamenti, evoluzioni e due guerre mondiali superate grazie anche all'appoggio di quello che un tempo era l'impero britannico.
Questo viaggio inizia dunque nella seconda metà del XIX secolo dove pionieri come i fratelli Renshaw, Baddeley e Doherty la fanno da padroni sui campi londinesi. Con l'inizio del nuovo secolo arrivò però il primo terremoto. L'australiano Norman Brookes ruppe l'equilibrio inglese imponendosi nei fields più famosi del mondo, primo non britannico a violare nel 1907 i Championship. In seguito l'esempio di Brookes fu colto da altri. Il neozelandese Wilding si elevò a rango di "conquistadores" succedendo nella lista degli stranieri vincitori quando Brookes, ancora lui, nel 1914 lo spodestò immediatamente dal trono. Sopraggiunse quindi la Grande Guerra chiudendo il primo atto di questa nuova Divina Commedia.
Al rientro sulla scena il tennis era ancora imbrattato dalle polveri del conflitto mondiale. Polveri che vennero spazzate via in un batter d'ali grazie al tornado Lenglen e al ciclone Tilden, i primi divi dello sport mondiale, non solo del tennis. Lei francese, lui americano, furono le icone che lanciarono il tennis oltre l'orizzonte del gioco convertendolo nel costume, nella moda, attirando masse enormi di pubblico al tennis. Due figure titaniche che obbligarono Wimbledon a crescere, a cambiare sede dell’All England Cub dalla vecchia Worple Road all'attuale Church Road dotatandola di nuove strutture e di un nuovo tempio del tennis, il mitico Centre Court.
Dopo Lenglen e Tilden venne il momento di Helen Wills, di Lacoste, di Perry e del Grande Slam di Don Budge, dopodiché tornarono a tuonare i cannoni, la guerra era di nuovo in scena. Fine del secondo atto.
Quando la luce fece nuovamente capolino nel tempio del tennis il conflitto era superato e nuovi campioni si prospettavano all'orizzonte. Venne dunque il tempo di Kramer, di Sedgman, di Hoad e di Laver tra gli uomini, della Osborne, della Connolly, della Gibson, della Bueno, tra le donne.
Tuttavia, proprio negli anni Sessanta del secolo scorso il board e i membri dell'All England Club sollevarono per primi la questione sul tennis diviso tra dilettanti e professionisti. Dilettanti che potevano giocare Wimbledon, i tornei e la Coppa Davis e i professionisti confinati alle esibizioni, messi al bando dalla federazione internazionale dai grandi palcoscenici. Wimbledon ispirò quella rivolta orientata al tennis open che obbligo lo staus quo e il potere dell'epoca a cedere in favore di uno sport più evoluto e aperto al professionismo.
Nel 1967 sfidando la federazione internazionale Wimbledon ospitò un torneo professionisti tra lo scetticismo generale. L'iniziativa invece si rivelò un successo strepitoso regalando una finale di cinque indimenticabili set interpretati da Rod Laver "the rocket" e dal magnifico Ken Rosewall “muro di rose”. Un incontro che costituì il manifesto per superare l’ostruzionismo del vecchio sistema.
Poco dopo, il 22 aprile 1968, il tennis portò a termine la propria metamorfosi dando vita al tennis open, archiviando il dilettantismo nel tennis giocato per sempre.
Nella nuova era, per l’esattezza nel 1969, Rod Laver conquistò il suo secondo Grande Slam e la connazionale australiana Margaret Court, nel 1970, emulò il grande Rod vincendo a sua volta il Grande Slam tra le signore. L’epoca a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta è stata interamente dominata dai grandi campioni australiani tra i quali non possiamo certo dimenticare John Newcombe e Roy Emerson, vincitori di molti titoli ai Championship tra singolare e doppio. Tra questi, è obbligatorio citare anche Ken Rosewall, finalista per ben quattro volte e mai vincitore a Wimbledon nell’arco incredibile di vent’anni di carriera. Del resto, per conquistare diritti e posizioni il tennis ha dovuto navigare in molte tempeste. Difatti nuovi affanni e sfide dovettero essere superate nei primi anni Settanta. A tal proposito, Wimbledon fu l'agnello sacrificale per poter acquisire i diritti negati ai neo professionisti. Infatti, l'edizione del 1973 fu boicottata a causa di uno sciopero indetto dal neonato sindacato dei tennisti.
Dopo la turbolenza tornò il sereno, e i due giovani americani Jimmy Connors e Chris Evert si imposero sui prati di Church Road.
Da metà degli anni Settanta si inserirono strada facendo nuove figure, e cosi venne il tempo del vichingo Borg e dello yankee McEnroe. Nel contempo nelle donne andava archiviandosi la figura della King per dare spazio alla nuova stella venuta dall’Est: Martina Navratilova.
Quindi gli anni Ottanta misero in pensione le racchette di legno a beneficio delle racchette tecnologiche che oggi quasi sembra giochino da sole. Tuttavia, la magia di Wimbledon è sempre stata sorretta da un mix particolare, perché l’innovazione ha sempre trovato spazio rispettando la tradizione. Ad esempio, la tecnologia dell’occhio di falco, un tempo chiamato “Ciclope”, è stata introdotta per la prima volta nel tennis proprio a Wimbledon, nel contempo il bianco non ha mai abbandonato le mise dei giocatori. E così, anno dopo anno, arrivò il momento di Becker e di Edberg, di Sampras e di Agassi, mentre tra le donne brillò la stella folgorante di Steffi Graf che conquistò il Grande Slam del 1988 per poi passare lo scettro di regina assoluta dei Championship a due sorelle afroamericane, le Williams. Nel frattempo anche gli uomini hanno espresso nell’attualità campioni che risultano tra i più grandi di sempre. Figure che rispondono ai nomi di Federer, Nadal e Djokovic. Campioni che oggi si misurano nel Tempio del Tennis avendo già arricchito l’albo d’oro del torneo e impreziosito il museo dell'All England Club.