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La storia di Wimbledon è un’avventura ricca di evoluzioni e di protagonisti leggendari che vivono nell’immortalità sui campi dell’All England Club. Fin dal principio questo evento è stato il faro della disciplina, denominato World Grass Court Championship, il campionato del mondo sull’erba, in altre parole l’Olimpo del tennis.

Londra ha giocato un ruolo fondamentale nel successo di questa manifestazione come ogni lettore appassionato può verificare leggendo nel menù del nostro sito nella sezione (il tennis) dedicata alla storia del gioco e del torneo di Wimbledon.

Ricordiamo che la capitale inglese rappresentava all’epoca il centro dell’Impero Britannico. Una piattaforma che ha saputo diffondere la disciplina del tennis ovunque, anche nei più reconditi angoli del pianeta ponendo per l'appunto al centro del sistema l'evento dell'All Englan Club e i suoi manti erbosi.

Un torneo divenuto fin dal principio un mito. Un mito per il quale più di un campione avrebbe fatto un patto con Mefisto, pur di incidere il proprio nome nell’albo d’oro. Infatti, tutti i campioni hanno storicamente inseguito il sogno di un trionfo ai Championship per tutta la carriera, alcuni però senza mai riuscirci.

Tra le donne questa fenomenologia è stata meno diffusa rispetto agli uomini perché le grandi regine del tennis, arrivate in vetta alla classifica mondiale, hanno quasi sempre raccolto il successo sui prati più celebri del mondo. Tuttavia esistono eccezioni.

La prima riguarda Monica Seles. La campionessa croata vincitrice di tutti gli altri tre slam perse la finale di Wimbledon del 1992 per mano di una portentosa Steffi Graf. La stessa sorte di Monica è toccata in seguito alla spagnola Aranxta Sanchez Vicario nel 1995 e nel 1996. Mentre la belga Justine Henin fu fermata sul più bello da Venus Williams nel 2001 e da Amelie Mauresmò nel 2006. Queste in sintesi sono state le principali number one mondiali in gonnella rimaste a bocca asciutta.

Tra gli uomini invece, come anticipato, la storia è leggermente più articolata e parte più da lontano nel tempo. La prima figura ad essere coinvolta è stata quella del barone tedesco Gottfried von Craam che perse addirittura tre finali consecutive. La prima e la seconda ad opera dell’inglese Fred Perry nel 1935 e 1936, la terza nel 1937 contro l’americano Donald Budge.

A causa di vicissitudini legate a problemi tra von Craam e il regime nazista, le edizioni di Wimbledon 1938 e 1939 furono negate al campione tedesco il quale nel 1939 aveva superato l’americano Riggs per 61 60 nella finale del torneo del Queen’s che precede da sempre i Championship. Bobby Riggs vinse poi l’edizione di Wimbledon di quell’anno, una beffa incredibile per il leggendario barone.

Nel 1965, 1966 e 1967 i tre tentativi dell’australiano Fred Stolle furono respinti rispettivamente da Chuck McKinley e per ben due volte da Roy Emerson. Ma forse la storia più incredibile di questa particolare fenomenologia riguarda il favoloso Ken Rosewall, uno dei campioni più forti di tutti i tempi.

L’avventura di Rosewall è costituita da quattro finali perdute a cavallo di un incredibile lasso di tempo: vent’anni. La prima finale perduta nel 1954 contro Jaroslav Drobny e la seconda nel 1956 contro Lew Hoad, fanno da spartiacque nella carriera di Ken Rosewall che passato al professionismo non giocò Wimbledon per dodici anni consecutivi.

Nel 1968 con l’avvento dell’era open Rosewall tornò sui campi di Church Road dove nel 1970 cedette a John Newcombe sul filo di lana del quinto set. Successivamente nel 1974, a vent’anni di distanza dalla sua prima finale, il mitico Ken affrontò il giovane Jimmy Connors a cui regalava ben diciotto anni di differenza. Il titolo andò a Jimmy che maltrattò severamente il vecchio campione.

In seguito il titolo di Wimbledon sfuggi di mano ad altri due indimenticabili numeri uno. Entrambi ebbero a disposizione due finali.
Il primo, il rumeno Ilie Nastase, si piegò nel 1972 nei confronti dell’americano Stan Smith e nel 1976 di fronte al formidabile Bjorn Borg.

Il secondo, il ceco Ivan Lendl, dovette invece cedere nel 1986 al teutonico Boris Becker e nel 1987 al canguro Pat Cash.
Questa è in breve la storia dei grandi campioni rimasti a mani vuote a un passo dal titolo più ambito. Vicende sportive per certi versi crudeli che però nel contempo alimentano il fascino del torneo più grande e famoso del mondo.

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