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La nevrosi collettiva conseguente alla decimazione epidemica consumatasi alla vigilia dell’ultimo Major dell’anno e, più in generale, durante l’avvento della stagione estiva sul cemento nordamericano, ha prodotto nella plebe (ovvero nelle retrovie) una propensione dispotica nei confronti di uno “status quo” avvilito e debilitato dalle illustri assenze, tra i quali Djokovic, Murray, Wawrinka, Nishikori e Raonic. Il ritiro tardivo dello scozzese dal main draw, in particolare, ha rimescolato il sorteggio iniziale, che vedeva Federer e Nadal distribuiti agli antipodi dei rispettivi tabelloni, infrangendo in questa maniera il desiderio conclamato di molti appassionati di assistere ad un’ipotetica quanto inedita finale della rivalità eterna nello Slam statunitense (l’unico palcoscenico di rilievo che non li ha mai visti opposti).

Le premesse maturate nei primi turni del torneo, però, lasciavano presagire uno scenario potenzialmente avverso alle aspettative dei più, tenuto conto delle difficoltà riscontrante da entrambi i favoriti: il maiorchino, reduce da diverse campagne deludenti nel recente passato a Wimbledon (dove è stato estromesso da Gilles Muller in cinque set), a Montreal (clamorosamente sorpreso negli ottavi di finale da una grande prestazione dell’astro nascente canadese, Denis Shapovalov) e a Cincinnati (eliminato per mano di Nick Kyrgios nei quarti di finale), non è apparso particolarmente brillante in alcune circostanze, specialmente nei set d’apertura disputati, in cui palesava lasciti di una ricorrente reminiscenza psicologica nefasta. Nonostante ciò, il numero uno al mondo sembra aver ritrovato la motivazione necessaria per capovolgere tali ostilità, riesumando una peculiarità intrinseca del suo gioco: l’indomita perseveranza risolutrice. Fin ad ora ha avuto la meglio su Dusan Lajovic all’esordio (7-6 6-2 6-2), sul giapponese Taro Daniel (4-6 6-3 6-2 6-2), su Leonardo Mayer (6-7 6-3 6-1 6-4) e sul temibile ucraino Alexandr Dolgopolov (6-2 6-4 6-1). Federer, dal canto suo, proviene da un'altrettanta complessa realtà, contraddistinta soprattutto dalle problematiche relative alla schiena, emerse nuovamente dopo la finale di Montreal persa contro Alexander Zverev, che lo avevano costretto a rinunciare al Master 1000 di Cincinnati, alimentando perplessità circa la sua effettiva partecipazione allo US Open. La precarietà fisica dell’elvetico ha influito notevolmente nei suoi match contro il giovane Next Gen, Frances Tiafoe, in cui sono serviti cinque set (4-6 6-2 6-1 1-6 6-4) per risolvere la questione, così come contro il veterano Mikhail Youzhny, arresosi anch’egli solamente dopo cinque parziali lottati (6-1 6-7 4-6 6-4 6-2). Meno impegnativi del previsto si sono rivelati essere i confronti di terzo turno con Feliciano Lopez, terminato in tre set agevoli (6-3 6-3 7-5), e di ottavi con il tedesco Philipp Kohlschreiber (6-4 6-2 7-5). Prossimo avversario del numero 3 al mondo sarà Juan Martin Del Potro, vincitore qui nel 2009, e serio contendente al titolo dopo la meravigliosa rimonta andata in scena questa notte contro Dominic Thiem, recuperando uno svantaggio di due set a zero (1-6 2-6 6-1 7-6 6-4).

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Deludono le attese, invece, Nick Kyrgios e Sascha Zverev, i due osservati speciali di quest’edizione, dal momento che il livello di tennis da loro esibito nelle ultime settimane (come ricordato in precedenza il teutonico si è imposto a Montreal, mentre l’australiano è riuscito a conquistare la sua prima apparizione all’atto conclusivo di un Master 1000 a Cincinnati) è stato di pregevole fattura. Il primo, complice anche alcune complicazioni alla spalla destra, ha dovuto cedere il passo al connazionale John Millman in quattro set (6-3 1-6 6-4 6-1), mentre il numero 6 al mondo è stato sconfitto da Borna Coric, autore di una prova ragguardevole archiviata in quattro set (3-6 7-5 7-6 7-6). Al novero delle delusioni si aggiungono anche Karen Khachanov, battuto all’esordio da Yen Hsun-Lu in quattro set (4-6 6-2 6-3 6-3), Jack Sock, rimasto sorpreso al primo turno da Jordan Thompson dopo una battaglia di cinque set (6-2 7-6 1-6 5-7 6-4), Marin Cilic, campione a Flushing Meadows nel 2014, domato dall’argentino Diego Schwartzman in quattro set al secondo turno (4-6 7-5 7-5 6-4) e Lucas Pouille, superato dallo stesso Schwartzman negli ottavi di finale in quattro set (7-6 7-5 2-6 6-2). Tra le piacevoli sorprese rientrano senz’altro l’argentino, appena sopracitato, Denis Shapovalov, l’uomo più chiacchierato del momento e fautore di un cammino spettacolare, durante il quale si è reso artefice della disfatta di Jo-Wilfried Tsonga al second turno per 6-4 6-4 7-6, interrottosi soltanto agli ottavi di finale contro un soldissimo Pablo Carreno Busta, caparbio nell’aggiudicarsi l’incontro in tre tie break e accedere al suo secondo quarto di finale a livello Slam dell’anno. A destare ancor più scalpore, però, è stato l’exploit del giovane promettente russo Andrey Rublev, abile nell’issarsi sino ai quarti di finale dove affronterà Rafael Nadal, e battendo tra gli altri, Grigor Dimitrov al secondo turno (7-5 7-6 6-3) e David Goffin al quarto turno (7-5 7-6 6-3). Per quanto concerne le performance nostrane, bisogna rimarcare la strordinaria cavalcata di Paolo Lorenzi, conclusasi per mano del sudafricano Kevin Anderson agli ottavi (6-4 6-3 6-7 6-4); così come merita di essere sottolineato l’egregio sforzo profuso sia da Stefano Travaglia che da Thomas Fabbiano, sconfitti rispettivamente da Viktor Troicki al secondo turno (7-6 7-5 6-0) e da Paolo Lorenzi al terzo turno (6-2 6-4 6-4). Nulla da fare, invece, per Andreas Seppi e Fabio Fognini, entrambi fermatisi al primo turno per mano di Roberto Bautista Agut (6-2 4-6 6-2 7-6) e Stefano Travaglia per l’appunto (6-4 7-6 3-6 6-0). Il ligure, in particolare, ha ricevuto una squalifica dall’ITF, reo di aver rivolto insulti ingiuriosi nei confronti della giudice di sedia Louise Engzell, con conseguente esclusione anche dal torneo di doppio, dov’era ancora in lizza in coppia con Simone Bolelli.

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Nel tabellone femminile prosegue la fase di transizione generazionale, malgrado si fatichi a comprendere chi possa realmente avvalersi del potere assoluto nell’immediato: di certo non sarà la campionessa uscente di Wimbledon, Garbine Muguruza, soffocata in due set (6-3 7-6) dall’artiglieria pesante di una ritrovata Petra Kvitova negli ottavi di finale; non lo sarà Simona Halep, prematuramente uscita di scena al primo turno contro Maria Sharapova (6-4 4-6 6-3) in una delle partite più belle del torneo sin qui; non lo sarà certamente Caroline Wozniacki, attesa da tempo al definitivo salto di qualità nei Major, ma escludendo le due apparizioni in finale allo US Open (2009 e 2014), ha sempre mostrato una mancanza di rendimento nei risultati; non lo sarà nemmeno Johanna Konta, alla seconda debacle al primo turno di uno Slam dopo quella subita al Roland Garros; né tantomeno Angelique Kerber, che dopo l’eliminazione subita da Naomi Osaka nel turno d’apertura, uscirà dalle prime dieci giocatrici del mondo. Le giocatrici più accreditate a riportare una flebile stabilità all’interno del circuito WTA sembrano essere l’attuale numero 1 del mondo, Karolina Pliskova, protagonista di un itinerario tutt’altro che idilliaco, nella quale ha dovuto addirittura salvare un match point contro Shuai Zhang al terzo turno prima di vincere in tre set, Venus Williams, che ha già collezionato due finali a Melbourne e a SW19, potrebbe realizzare quello che sarebbe un degno epilogo ad un’annata meravigliosa, Petra Kvitova e Maria Sharapova, non appena saranno in grado di ritrovare lo smalto degli anni precedenti. Fugace è stata, invece, la presenza nel main draw delle uniche tre italiane (Camila Giorgi, Roberta Vinci e Francesca Schiavone), tutte eliminate ad inizio torneo.

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