Nel mezzo del cammin tra Wimbledon e le Olimpiadi di Rio de janeiro, probabilmente i due eventi più attesi e desiderati tra i top player, la Rogers Cup (quest’anno a Toronto per gli uomini e Montreal per le donne) si è svolta sicuramente in tono minore rispetto a tutti gli altri Master 1000 e Premier Mandatory dell’anno. Infortuni, pause di recupero, preparazione Olimpica hanno influenzato sensibilmente i rispettivi tabelloni spogli di molti elementi di primo piano. Le assenze di Federer, Murray, Nadal, Serena, Muguruza, Azarenka hanno certamente dato meno fascino ai due tornei rendendo molto più prevedibili gli esiti finali.
In campo maschile Djokovic, il favorito anche se fossero stati tutti presenti, è arrivato come da pronostico in finale senza dover mai alzare troppo il suo livello di gioco che anzi, in certe fasi dei primi match era sembrato sotto il suo standard. Ma non c’è più da stupirsi, non è la prima volta che il campione serbo “seleziona” tempi e modi nei quali giocare da Djokovic e in quali semplicemente vincere la partita. A contendere il titolo sui campi di Toronto si è presentato Kei Nishikori che si giocava con Wawrinka e Raonic lo status di secondo favorito del torneo. Il giapponese si è imposto proprio con lo svizzero in semifinale mentre il canadese ha deluso un po’ le aspettative del pubblico di casa perdendo malamente da Monfils.
La finale tutto sommato prevedibile, non poteva che svolgersi in modo prevedibile. I due giocatori applicano un modello molto simile, regolare, basato prevalentemente sulla ritmicità del gioco, sul movimento dei piedi, sull’anticipo dell’impatto, quasi più sulla risposta che sul servizio. Ed in questo gioco Djokovic è semplicemente il migliore. Non lo si può battere con le sue armi, per di più sulla sua superficie. Finisce sempre allo stesso modo. Per un po’ Nishikori se la gioca, poi alla prima chance è già tutto finito. Break sul 2-2 e primo Set incamerato facilmente 6-3. Il serbo, che a differenza di molti suoi colleghi sembra imparare ogni volta da vittorie e sconfitte, serve quasi esclusivamente la prima palla al centro. Una scelta tattica ben precisa, sicuramente studiata che ha impedito al suo avversario di rispondere aprendo gli angoli permettendo a Novak, qualora non avesse già preso il comando del gioco con la battuta, di non dover iniziare lo scambio già correndo ed inseguendo la palla ma dettando i ritmi di gioco dal centro. Kei dal canto suo varia molto il servizio alternando angoli e velocità ma per tutto il primo Set, in particolare nei momenti clou, gli manca il killer shot, il colpo definitivo e risolutore, permettendo al numero 1 del mondo di arrivare sempre sulla palla costringendolo ad un ulteriore colpo, e poi ancora uno fino, molto spesso, all’errore nipponico.
Il secondo set per un po’ è una fotocopia del primo; inizio alla pari, break serbo alla prima occasione ma, quando tutti sono già pronti a consegnare il trofeo a Djokovic, reazione dell’allievo di Bollettieri. Spinge un po’ di più con il dritto e quando gioca lungo linea è più preciso ed incisivo del primo Set. In questo modo riesce a controbrekkare il nativo di Sarajevo portandolo fino al 5-5. Ma poi la storia si ripete ulteriormente. Nishikori lascia uno spiraglio e Djokovic vi si infila con tutta la sua forza prorompente. Dopo 1h e 22’ il numero 1 al mondo conquista il settimo titolo stagionale dimostrando di aver già metabolizzato la sconfitta con Querrey a Londra. Con quella di quest’anno salgono a 4 le Rogers Cup vinte e la candidatura a favorito di Rio, che un po’ aveva vacillato dopo Wimbledon facendo salire le quotazioni di Murray, torna prepotentemente nelle sue mani.
Complessivamente il torneo, e anche la finale è stata avara di contenuti tecnici. Solo nel match decisivo i due finalisti hanno collezionato un saldo di -19 tra vincenti ed errori gratuiti, ad ulteriore testimonianza di una finale onestamente bruttina. Bruttina è stata anche la finale femminile giocata poche ore prima in quel di Montreal. Halep e Keys rispettivamente 4 e 10 del tabellone, hanno dato vita ad un primo Set combattuto ma giocato da entrambe con l’handicap del servizio. La rumena molto spesso gioca meglio in risposta ma dalla Keys era lecito attendersi di più con la battuta. L’americana, anche in questa partita è stata un concentrato di discontinuità come poche giocatrici sanno fare. Dopo certi punti ci si chiede come faccia a non essere già nelle prime 3 al mondo, qualche punto dopo ci si chiede se vale le prime 100 al mondo. Non solo da un punto di vista tecnico (palle corte che non arrivano alla rete di metri, gioco di volo “latitante”, colpi sparacchiati in tribuna) ma anche e soprattutto dal punto di vista delle scelte e della capacità di rimanere in partita. Un peccato per una giocatrice, ancora molto giovane con dei mezzi soprattutto fisico-atletici da super atleta. Un po’ il contrario della sua avversaria che cerca, e spesso ci riesce, ad ottenere il massimo da quello che ha. Anche nella finale odierna è stata capace di aspettare che la partita venisse da lei, e la partita è arrivata, puntuale. Nel tiebreak del primo Set la Keys ha giocato come se non ci fossero righe e rete regalando il primo parziale all’avversaria. La Halep ha preso fiducia e commesso meno errori nel secondo Set andando subito in vantaggio. Situazione ideale per lei che ancora una volta non ha dovuto far altro che aspettare. La vittoria le è stata consegnata da Madison che dovendo rischiare qualcosa in più per rimontare non ha fatto altro che sbagliare qualcosa in più. Dopo 1h 18’ 76 63 e trofeo nelle mani della numero 5 al mondo.
Le due finali di oggi hanno malinconicamente dimostrato come, tanto in campo maschile quanto in campo femminile, non più di 3-4 giocatori hanno le carte in regola per ambire ai tornei più importanti e prestigiosi e come tutta la generazione degli anni ’90 non è stata in grado di dare quel ricambio generazionale che sarebbe lecito aspettarsi. Solo Raonic, Thiem, Muguruza e proprio Halep sono nati negli anni ’90 tra i top ten maschili e femminili.
A meno che Shapovalov, biondo canadese fresco vincitore di Wimbledon Juniores non riesca a trasformare in risultati i mezzi che ha ampiamente dimostrato di avere sconfiggendo al primo turno Kyrgios e perdendo onorevolmente da Dimitrov. Nel qual caso saremmo di fronte ad un vero crak tennistico perché potenzialmente c’è gia tutto o quasi. Buona mobilità e rapidità di piedi, mano velocissima ed educata, buona potenza fisica, seconda palla di servizio eccezionale, attitude in campo da campione. Manca ancora risolutezza strategica e gestione tattica del punto ma alla stessa età Federer, per fare un nome era 395 al mondo ed anche lui aveva mezzi che non sapeva ancora gestire. Shapovalov è già 291...chissà....