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“Don't ever underestimate the heart of a champion”.

Mai sottovalutare il cuore di un campione, o di una campionessa in questo caso.

Le parole di Rudy Tomjanovich, coach degli Houston Rockets che vinsero l’anello NBA nella stagione 1994-95 pur non partendo con i favori del pronostico dopo un annata quasi disastrosa sono il riassunto perfetto della vittoria odierna di Serena Williams ai Championships 2016.


Una vittoria Slam che la giocatrice statunitense non otteneva proprio dallo scorso Wimbledon; da allora Serena aveva inanellato una serie di sconfitte nei turni decisivi degli Slam (in semifinale agli US Open e in finale sia in Australia che a Parigi) che inevitabilmente avevano incrinato le certezze e il dominio dell’attuale numero uno del mondo.

La sorella di Venere, prima che soggiogare le avversarie in cui si è imbattuta lungo il proprio cammino sui prati di Church Road è riuscita a imbrigliare i pensieri negativi, le insicurezze che la accompagnavano in modo alquanto palese sin dalla sconfitta di New York contro la nostra Roberta Vinci: è riuscita nell’arduo compito di tramutare le proprie paure in voglia di riscatto, in determinazione, sfoderando una tenacia e una solidità mentale veramente da fuoriclasse.

In realtà la partita con la tedesca Angelique Kerber, testa di serie numero 4 che grazie ai risultati di queste due settimane assurgerà alla seconda posizione nelle classifiche WTA rappresentava uno scoglio arduo per Serena.
La tedesca era stata, infatti, la giocatrice contro cui aveva perso la finale sui campi di Melbourne, la prima delle due finali Slam perse consecutivamente; quella partita era stata emblematica da un punto di vista sia strategico-tattico che psicologico.

Le statistiche avanzate ci dicono, infatti come la Kerber era riuscita a imbrigliare l’avversaria sin dal suo colpo migliore, il servizio della Williams; addirittura Angelique era riuscita nell’impresa di vincere più punti di Serena quando lo scambio terminava con tre o meno colpi: segno inequivocabile di una Williams molto deficitaria con i colpi di inizio scambio.
Un' anomalia dal momento che Williams e Kerber rappresentano lo Yin e lo Yang dell’arte tennistica: potenza bruta, aggressività in ogni angolo del campo, scambi brevi e ferocia sono le caratteristiche distintive del gioco di Serena mentre la mancina tedesca che deve fare i conti anche con un fisico tutt’altro che imponente, fa delle regolarità, della sapienza tattica e della corsa le proprie prerogative.
Un match con tali precedenti e antecedenti che metteva in risalto la sfida tra due modi completamente diversi di intendere il gioco del tennis, in una cornice da sogno come il Centre Court più famoso del mondo, non poteva che regalare agli appassionati uno spettacolo assolutamente degno di una finale di Wimbledon: e così è stato.

Sin dalle prime battute paiono chiare le connotazioni tattico-strategiche da parte delle due interpreti.

Serena cerca di essere sempre al comando delle operazioni imponendo all’avversaria il suo piano partita; con i colpi di inizio scambio è devastante: quando serve la prima palla risulta ingiocabile per la povera tedesca (100 % dei punti ottenuti con la prima palla nei quattro game iniziali al servizio).
D’altro canto Kerber è una giocatrice estremamente tenace e regolare; non solo non si fa intimorire dalla violenza dei colpi di Serena ma, addirittura riesce in circostanze alterne a portare la giocatrice americana su un terreno a lei meno congeniale, costringendola a scambi lunghi e a notevoli spostamenti laterali.
Le due finaliste tengono agevolmente la battuta con la Kerber che mette in luce una grande varietà in questo fondamentale, non permettendo a Serena di poter impattare comodamente la palla, specialmente dal lato del rovescio dove solitamente si esibisce in ribattute fulminee verso il centro o verso l’angolo destro della giocatrice avversaria.

Il set è molto lottato e di grande qualità con le due tenniste che si esibiscono anche in prodezze estremamente spettacolari.
La Williams affronta due game critici in battuta ed è costretta ai vantaggi ma, in entrambi i casi non concede alcuna palla break e, a suon di vincenti riesce a riemergere dalle paludi.
Angelique, che aveva posto fine alla corsa di Venus in semifinale riesce ora a entrare con più costanza all’interno del campo, diventa maggiormente aggressiva con lo splendido diritto “uncinato” riuscendo a tramutare la difesa passiva dei primi game in difesa attiva, un gioco di contrattacco che le permette di produrre anche diversi vincenti da fondocampo.

Quando il set pare avviarsi inesorabilmente al tie break, sul 6-5 in favore della numero uno del seeding la Kerber commette due rarissimi errori gratuiti con il diritto (nei rimanenti game aveva commesso solo altri 3 errori gratuiti), consegnando gioco e primo set a Serena Williams.

Chi pensava che conclusosi il primo parziale le due ragazze avrebbero approcciato i primi giochi in modo soft per rifiatare e per riorganizzare le idee si sbaglia, e anche di grosso: come tutti i fortunati del Centrale assistiamo ad una battaglia campale di power tennis moderno infarcito di ricami e preziosismi manuali.
Le due contendenti si sfidano senza esclusione di colpi, gli scambi divengono sempre più lunghi e ciò sembra favorire la Kerber che predilige un tennis basato sulla regolarità e sulla corsa; Serena, infatti non ha più il monopolio dei lungolinea com’era stato durante il primo parziale dove la Kerber era stata costretta a giocare costantemente in cross mentre la Williams era in grado di verticalizzare il gioco agevolmente: la tedesca di origine polacca nel secondo set riesce a mettere i piedi nel campo, a condurre le scambio per potersi spostare sul proprio diritto utilizzando la sua soluzione preferita, ovvero il diritto inside out.
Nel settimo game Serena deve fronteggiare anche una palla break (la prima e unica di tutto l’incontro) ma si salva scagliando un ace terrificante; è proprio il servizio l’ancora di salvezza della californiana che, grazie al rendimento stratosferico con questo colpo riesce a rimanere in partita pur soffrendo l’incedere incalzante del ritmo teutonico.

In un crescendo rossiniano si giunge all’ottavo gioco, decisivo per le sorti della partita e del torneo in cui Serena riversa sul prato di Londra tutti gli sforzi e le energie rimaste: l’all in della statunitense produce gli effetti sperati e la numero uno del mondo nonché otto volte vincitrice di Wimbledon si aggiudica il break e la possibilità di servire per i Championsips.

Una Kerber visibilmente sfiduciata non può nulla nell’ultimo gioco dove Serena con tre servizi devastanti e una comoda volée di diritto conquista game, set and match: Serena Williams è la campionessa dell’edizione 2016 del singolare femminile di Wimbledon.

La caduta sull’erba che trasuda storia pare una liberazione per la fuoriclasse a stelle e strisce; le emozioni, le insicurezze, i timori che l’avevano accompagnata sin dalla cocente sconfitta agli US Open 2015 sembrano tutt’a un tratto spariti; la potenza di una vittoria a Wimbledon certo non può cancellare ricordi e sconfitte indelebili ma, sicuramente può ridare nuova linfa e nuovi stimoli per il proseguo della carriera di una campionessa che con il risultato odierno raggiunge quota 22 Majors, appaiando dopo una lunga rincorsa la connazionale della Kerber, Steffi Graf e portandola a soli due titoli Slam dal record dell’immortale Margaret Smith Court: il capitolo finale dell’epopea di Serena Williams non è ancora stato scritto.

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