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C’era una volta un grande campione. Aveva una potenza devastante, servizio e dritto formidabili, un’agilità sulla rete scimmiesca. Era il Signore del tennis, il monarca di Wimbledon con sette titoli in altrettante finali. Veniva dalla California e serviva sotto il cielo plumbeo di Londra un ace via l’altro, fino a quando un bel giorno arrivò sul Centre Court un giovane svizzero a rompere l’incantesimo.

Cinque sanguinosi set e sei a quattro nell’ultimo parziale decretavano il verdetto e il passaggio di consegne generazionale. Non fosse arrivato quel ventenne di sangue blu di autentico talento, il vecchio Pete Sampras avrebbe continuato a vincere sul magico ghiaccio verde dell’All England Club, ma il tennis aveva deciso di voltare pagina.

Il ragazzo venuto da Basilea diventava così adulto, marito e padre. Era lui il nuovo Signore del tennis superando le gesta e le vittorie del grande Pete, diventato per i tifosi poco più di un ricordo. Roger Federer e il tennis, oggi si dice in quest’ordine.

Sabato 27 gennaio 2018 trionfa agli Australian Open la piccola “Evert”, la danese Caroline Wozniacki. Il giorno seguente, domenica 28, è l’attimo in cui il tennis si è fermato. Venti sono gli Slam conquistati dal fenomeno, nessuno mai come Roger Federer il campione senza tempo. Arriva a sei titoli agli Australian Open, eguagliando il primato di Nole Djokovic e di Roy Emerson.

Il torneo australiano fu il terzo a nascere in ordine cronologico tra i fratelli del Grande Slam. Veniva creato da una costola dei Victorian Championships che si svolgevano nella città di Melbourne fin dal 1880; fiorivano dopo solo tre anni dalla prima edizione del torneo di Wimbledon, avvenuta nel 1877.

A quel tempo l’Australia era l’Australasia, e comprendeva le vicine Nuova Zelanda e  Tasmania. Nel gennaio 1880 si teneva così a Melbourne il battesimo dell’evento, giocato nell’occasione su campi in asfalto. Una superficie in seguito archiviata a favore della classica erba, la testimone oculare della nascita del nostro amato sport brevettato dal Maggiore dell’esercito britannico Walter Clopton Wingfield come Sphairstike nel 1874.  

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Il continente oceanico era quindi separato dal mondo della racchetta e la prima contaminazione arrivava proprio da un tennista inglese, il famoso reverendo John Hartley, già campione di Wimbledon 1879 e 1880.

Il prelato partecipava ai Victorian Championships 1888 nel tentativo di un rilancio di fortuna alle competizioni. Aveva appeso la racchetta al chiodo da almeno cinque anni, dopo la batosta dei Championship 1881 per mano di quel satanasso di Willaim Rensahaw di fronte a duemilacinquecento londinesi. Eppure, la sorte non cambiava per Hartley, perdeva la finale sotto al sole cocente di Melbourne contro l’autoctono Percy Colquhom.

Nel contempo nasceva in Australia la stella di Wilberfore Eaves, giocatore di passaporto australiano e britannico. Nel 1895 arrivò alla finale di Wimbledon e nel 1897 a quella dei Campionati Americani, oggi noti come US Open. Ma più ancora, durante quell’anno, Eaves si aggiudicava a Dublino gli Irish Championship, il secondo torneo della storia dopo Wimbledon.

L’evento irlandese era frequentato da campioni fenomenali come i fratelli inglesi William ed Ernest Rensahaw, il loro compatriota Wilfred Baddeley, l’irlandese Joshua Pim e lo scozzese Harold Mahony. L’astuto Wilberfore, per sua fortuna, sfiorava appena in tempo le ire funeste dei favolosi fratelli Doherty che stavano per calare sul tennis mondiale.

All’inizio del ventesimo secolo Eaves tornava in Australia, vincendo nel 1902 il prestigioso torneo del New South Wales. Superava in cinque set le velleità dei primi due tennisti dello stato di Victoria: Alfred Dunlop e Norman Everard Brookes. Quest’ultimo era un mancino dal braccio rivestito in piombo che sarebbe diventato, di li a poco, il portento assoluto del tennis mondiale.

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Brookes faceva tesoro dell’esperienza sofferta contro Eaves cambiando marcia, diventando un giocatore d’attacco irresistibile. Vinceva così per tre anni filati (1902, 1903,1904) i Victorian Championship che nel 1905 lasciavano finalmente spazio agli Australasian Lawn Tennis Championship. La prima edizione del 1905 si disputava a Melbourne presso il Warehouseman's Cricket Ground. Le signore avrebbero dovuto attendere il 1922 per il debutto.

Dagli albori ai primi respiri, la manifestazione non era stanziale nella città di Melbourne, infatti migrava continuamente nel continente oceanico da una sede all’altra. Tra queste città si ricordano le australiane Sydney, Adelaide, Brisbane e Perth, oltre alle neozelandesi Christchurch e Hostings.

Nel 1921 Australia e Nuova Zelanda firmavano la separazione e il torneo si trasformava nel 1927 in Australian Championship. Solo nel 1969, con l’avvento dell’era open si tramutava in Australian Open, il torneo oggi da tutti conosciuto.

Dopo il secondo conflitto mondiale gli aerei avevano sostituito i lunghi viaggi in nave e per il tennis cambiava la musica, l’Australia era diventata più vicina al mondo della racchetta e non solo. Strada facendo, il torneo si stabilizzava in quel di Melbourne e nel 1972 si decideva di non cambiare più sede.

A quel tempo lo stadio del tennis si trovava al Kooyong Lawn Tennis Club, nel rispetto assoluto della tradizione vittoriana che imponeva campi in erba vestiti con righe in gesso e giocatori abbigliati in tenute di candido bianco, immacolati e senza peccato.

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Lo Slam australiano contribuiva sensibilmente allo sviluppo del tennis internazionale e  ancor più al modello di scuola “aussie” che toccava vertici assoluti nel dopoguerra grazie al contributo del mitico Harry Hopman, il coach più titolato della storia.

Nel 1988, gli Australian Open traslocavano a Melbourne Park abbandonando il Kooyong. Gli australiani giravano così le spalle alla tradizione e come gli americani sostituivano i campi in erba con quelli in cemento. La disciplina stava cambiando pelle, le racchette di legno, compagne di gioco nella secolare avventura del tennis, venivano abbandonate e progressivamente sostituite dagli attrezzi di nuova tecnologia.

Resta comunque viva e presente l’atmosfera leggendaria di questa terra australe, dove magnifiche racchette australiane hanno lasciato un segno profondo, campioni come Jack Crawford, Adrian Quist, John Bromwich, Frank Sedgman, Ken Rosewall, Lew Hoad, Ashley Cooper, Rod Laver, Neale Freaser, Fred Stolle, Roy Emerson, John Newcombe e Tony Roche tra gli uomini, Margaret Court e Evonne Goolagong tra le donne. E più recentemente campioni come Pat Cash, Leyton Hewitt, Pat Rafter e Samantha Stosur. Roy Emerson con sei vittorie fra i gentiluomini e Margaret Court con undici fra le dame, sono i primatisti del torneo.

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Ogni anno gli Australian Open, soprannominati “happy slam”, catalizzano sui propri campi l’interesse del continente asiatico, un impianto in cui svettano le arene dedicate alle leggende di Rod Laver e di Margaret Court. Una suggestione che ci porta indietro nel tempo e volendo fino alle sue origini, dove troviamo ancora i momenti della classe infinita di Norman Everard Brooks.

L’australiano mancino vinceva il torneo di casa nel 1911. Egli fu il primo tennista non britannico a violare Wimbledon nel 1907 ribadendo il trionfo nel 1914 sul fantastico  neozelandese Anthony Wilding. E non finiva qui. Nel 1907 Norman Brooks aveva l’ardore di strappare la Coppa Davis dalle mani degli americani e degli inglesi, i padroni assoluti dell’insalatiera. In seguito Everard la rivinceva per altri cinque anni.

"Brookes dovrebbe essere l'ispirazione per tutti i giocatori e gli appassionati di tennis perchè ha provato quanto la forza mentale sia predominante sulla materia tennis" sono le parole di Big Bill Tilden, il Leonardo da Vinci del tennis, che illustrano l’arte del genio australiano.

Nel 1977 Brookes entrava, post mortem, nella elite del tennis di tutti i tempi, immortalato nel museo della Hall of Fame di Newport. Un genio senza tempo con la racchetta in mano, al quale veniva dedicato il trofeo del singolare maschile degli Australian Open. Un trofeo oggi ancora nelle mani di Roger Federer nella Rod Laver Arena, leggenda fra le leggende immortali del gioco.

Lunga vita a King Roger, almeno fino a quando arriverà il giorno in cui entrerà sul campo un giovane di sangue blu di autentico talento, e forse solo allora il tennis deciderà di cambiare un’altra volta pagina.

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