La 116° edizione degli Open di Francia si è conclusa con la medesima dicotomia che distingue nettamente il tennis maschile dal tennis femminile allo stato attuale, costantemente rimarcata ad ogni evento clou: ovvero la presenza di una ferma e consolidata stratificazione all’interno del circuito ATP da un lato si contrappone dall’altro lato al fermento e alla regolare sovversione dei vertici istituzionali, di per sé già flebili, all’interno del circuito WTA.
A supporto di tale tesi vengono in aiuto le vittorie di Rafael Nadal in campo maschile e di Jelena Ostapenko in campo femminile. Il calibro di questi due attori capaci di aggiudicarsi il titolo più ambito sulla terra rossa riflette e fotografa esattamente il momento storico dei due movimenti. Il trionfo del maiorchino, giunto al suo 10° alloro su 13 partecipazioni, decompone quelle embrionali supposizioni, che vedevano nel successo di Sascha Zverev a Roma, un’importante svolta nel futuro immediato del tennis maschile e una possibile infiltrazione della Next Gen nelle posizioni più ambite. Tali ipotesi sono state disattese, così come sono state disattese le aspettative in merito all’affermazione di una tra le prime 10 teste di serie femminili alla vittoria del torneo, considerato “l’outcome” finale, che ha visto la giovane lettone imporsi nella capitale francese a soli vent’anni. Ciò non significa in alcun modo che il tennis maschile goda di uno stato di salute migliore rispetto a quello femminile, ma sottolinea semplicemente una condizione evolutiva differente.
Analizziamo ora quanto avvenuto nelle fasi cruciali di questo Roland Garros 2017: a cominciare dalle semifinali maschili che hanno visto opposti Murray a Wawrinka e Nadal a Thiem. La prima sfida è stato un autentico capolavoro, caratterizzata da numerosi capovolgimenti di fronti e da innumerevoli momenti salienti. Entrambi i giocatori, reduci da un’annata su terra battuta poco entusiasmante, sono riusciti a ritrovare per tempo una condizione accettabile ed allo stesso tempo sufficiente per accedere alla seconda settimana dello Slam parigino. Una volta giunto in vantaggio di due set a uno, molti credevano che il numero 1 del mondo, ovvero Andy Murray, sarebbe riuscito nel compito di riconfermare la propria presenza in finale, dopo quella ottenuta nel 2016. In realtà l’esito dell’incontro si rivelerà ben lungi dalle prospettive preannunciate dai più: infatti Wawrinka, già vincitore al Roland Garros nel 2015, sarà in grado di rimontare tale svantaggio, imponendosi per 6-7 6-3 5-7 7-6 6-1. La seconda sfida è stata altrettanto alettante dal momento che si affrontavano i due giocatori più in forma sul rosso, nella fattispecie Rafael Nadal e Dominic Thiem. In questo caso, però, rispetto ai loro tre precedenti confronti diretti consecutivi lo spettacolo è stato assicurato dall’iberico, il quale ha messo in mostra una condizione tecnica e fisica prossima alla sua migliore versione. Il risultato, d’altro canto, parla da sé: 6-3 6-4 6-0 in favore dello spagnolo che ottiene la sua 10° finale nel Major transalpino. La finale concentrava in sé moltissime curiosità in merito ad alcuni dati statistici: se Nadal avesse vinto il torneo sarebbe diventato il primo giocatore di sempre nell’era Open a conquistare una singola prova dello Slam per ben 10 volte; nel contempo avrebbe superato il numero di vittorie Slam di Pete Sampras fermo a 14; Wawrinka a sua volta avrebbe potuto aggiudicarsi il suo 4° Slam in altrettante finali, un’impresa riuscita solo al suo connazionale Roger Federer; inoltre avrebbe potuto rafforzare questa sua tendenza positiva nel riuscire ad ottenere almeno uno Slam all’anno, iniziata nel 2014 agli Australian Open proprio contro Nadal. I presupposti perché si potesse assistere ad una vera e propria battaglia erano presenti. La voracità e l’inossidabile veemenza agonistica dello spagnolo, però, impediranno all’elvetico di appropriarsi di un ruolo da co-protagonista, trovandosi relegato nelle vesti di comparsa. Nadal è stato molto ordinato ed efficace dal punto di vista strategico, poiché i numerosi cambi di ritmo e di direzionalità hanno destabilizzato il gioco da fondo di Wawrinka, il quale è incappato in molti errori non forzati per via dell’incessante propensione al rischio causata dall’estremo livello di gioco offerto dall’iberico. Se a ciò uniamo una prestazione solida al servizio nel corso del quale ha concesso una sola palla break al suoavversario sull’1-1 30-40, allora il dominio a tutto campo viene ampiamente giustificato da questi fattori. Alla fine il risultato finale sarà 6-2 6-3 6-1 in favore di Rafa.
La finale femminile, disputatasi tra la romena Simona Halep e la giovane emergente lettone Jelena Ostapenko, è stato un manifesto di emozioni altalenanti accomunati dal dramma sportivo squisitamente tipica degli incontri femminili. La Halep, tra le candidate più accreditate alla vittoria finale ad inizio torneo, si è trovata avanti di un set e di un break (6-4 3-0) con la concreta possibilità di poter ottenere addirittura due break di vantaggio. La prova d’acciaio offerta dalla Ostapenko sotto il profilo psicologico è stata di prim’ordine e causerà la debacle della romena, che non riuscirà più a compensare il devastante gioco da fondo della sua rivale, finendo inevitabilmente per soccombere al terzo set (4-6 6-4 6-3), al termine di una partita molto esaltante ed avvincente.
Archiviata la stagione sul rosso ci apprestiamo a seguire la programmazione sull’erba culminerà con il torneo più atteso dell’anno: Wimbledon.