Tennis d'autore?
Tranquilli, non ho perso la testa.
Non vi parlo di Milan Kundera, ne di intellettuali o di artisti durante la Primavera di Praga.
Mi limito agli intellettuali e agli artisti della racchetta.
Concluso il torneo di Shanghai, penultimo Master 1000 della stagione, è possibile trarre alcune indicazioni sulle condizioni attuali del tennis. Malgrado un Djokovic a corto di forma, un Nadal irriconoscibile, un Wawrinka modesto e un Federer in prepensionamento, l’incapacità dei giovani di affermarsi nel tennis che conta emerge con preoccupante evidenza. In finale è giunto l'ottimo ventottenne spagnolo Bautista Agut, non certo un prossimo fuoriclasse.
Inoltre, tra una racchetta fracassata e l’altra da parte del diciannovenne Sasha Zverev, spicca prepotentemente l’ennesima figuraccia rimediata dal ventunenne australiano Nick Kyrgios, capofila dei pretendenti alla corona nonché di una schiera di “svalvolati” che vanta nelle proprie file ben più di qualche timida unità. Ci si chiede quale possa essere il motivo di tali comportamenti. Viene il sospetto che gli aspetti formativi e culturali di certi individui non siano proprio all’altezza della situazione. Come è noto, si tratta di fattori determinanti nel processo di maturazione, anche nel caso di supertalenti. Di fatto non è per niente facile spiegare i motivi di questa fenomenologia. Per cui non resta che tentare l’azzardo, attraverso tre semplici passaggi, per fornire ai nostri appassionati lettori ulteriori elementi di riflessione.
Il primo passo ci riporta indietro nel tempo, all’estate del 1935 durante il torneo di Wimbledon. Più precisamente nel giorno che precede le semifinali, dove i tennisti fanno conoscenza prima degli incontri. I protagonisti della vicenda sono due gentiluomini, il ventiseienne barone tedesco Gottfried von Craam ed il ventenne americano Donald Budge. Una circostanza storica perchè precede la loro prima volta, il loro primo incontro. Un momento in cui il raffinato e colto barone elogia e incoraggia il suo giovane rivale augurandogli ogni bene perché il “bel giuoco” sia il protagonista nella loro imminente sfida. Il giovanotto americano ascolta e ringrazia von Craam per la piacevole e istruttiva conversazione. Il giorno seguente il barone tedesco vincerà la disputa in quattro set, raggiungendo la sua prima finale all’All England Club dove troverà il campione in carica, la leggenda britannica Fred Perry.
Il secondo passaggio, al contrario del primo, propone condizioni paradossali dove latita ogni forma di possibile equilibrio. Questa via prende forma grazie alla sintesi del monologo di Roberto Benigni, tratto dal film di Renzo Arbore del 1980 “Il Papocchio”. Un monologo magistrale che si sviluppa sul “Giudizio Universale”. Benigni il magnifico, esprime acrobazie dialettiche e comiche che descrivono incontri e dialoghi tra personaggi improbabili. E’ qui che si incontrano il Faraone egizio Tutankhamon con un terzino della Sampdoria, il re degli Unni Attila con un benzinaio fiorentino e il filosofo Karl Marx con Dio. Lascio a voi immaginare, per chi non conoscesse la performance, le evoluzioni di tali conversazioni.
Infine, il terzo e ultimo passaggio illustra due interviste. Interviste surreali perché, seppur in parallelo, avvengono in momenti diversi della storia del tennis, quindi del tempo. Gli interpreti sono il barone Gottfried von Craam e l’australiano Nick Kyrgios. Ebbene, nella prima intervista l’orologio torna al 20 luglio 1937 nel salone principale del Centrale di Wimbledon. I giornalisti chiedono al giovane barone, due volte campione del Roland Garros e tre volte finalista ai Championship, quale fosse stato il momento più eccitante del suo tennis. Von Craam risponde con eleganza impareggiabile: “Non si tratta di una circostanza legata ad una vittoria, ma ad una sconfitta, quella di oggi”. Egli aveva appena perduto contro Don Budge per 8-6 al quinto set l’incontro decisivo di Coppa Davis tra Germania e Stati Uniti. Del resto, nel 2016, la stessa domanda è stata rivolta anche all’apprendista campione Nick Kyrgios, il quale ha ribadito algido: “Onestamente sto giocando più a PokemonGo che a tennis. Mi eccita di più prendere una sfera (Pokemon) di quanto non accada sul campo per una palla break”.
Cambiano i tempi, cambiano i luoghi, cambiano le situazioni e forse le valutazioni, ma rimane comunque il proverbio de gustibus non disputandum est. Però mi domando nel contempo cosa avrebbero potuto fare Renzo Arbore e Roberto Benigni di un dialogo tra Gottfried von Craam e Nick Kyrgios. Tuttavia, non vi è ombra di dubbio circa le parole dell’australiano. Questo perché offrono una risposta semplice e diretta, e risolvono alla velocità di un tweet molti interrogativi. Che gran comunicatore questo Kyrgios, non vi pare?