Gianni Clerici aveva scritto, in uno dei suoi tanti resoconti, che il Tennis Country Club di Montecarlo stava proprio ai confini estremi del piccolo stato di Monte Carlo, verso l’Italia. Noi che veniamo da Nizza dobbiamo quindi attraversare tutto il Principato, passando dal porto, superando la curva delle piscine e infilandoci, oh quanto più lentamente, nel tunnel immortalato mille volte dalle telecamere di bordo delle auto di Formula 1.
Purtroppo i nostri problemi sono molto più prosaici, non si tratta di tenere in pista un bolide che sfreccia per le stradine del principato a quasi trecento all’ora, ma come fanno poi? Si tratta semplicemente di trovare un parcheggio, e piuttosto in fretta: alle undici di domenica 10 aprile 2016 inizia il secondo turno delle qualificazioni del primo master 1000 della stagione su terra battuta.
Il Country Club è terrazzato come una villa delle Cinque Terre. Ci rendiamo subito conto che dal varco numero tre in cui siamo entrati si possono visitare le varie boutiques, si scorge la zona privata dei giocatori, si è circondati dai baracchini dei bar e si accede ai campi principali.
Dopo esserci concessi un caffè e qualche sorriso con la bruna ragazza al banco la quale ci offre pure due croissant (!), diamo una occhiata veloce alle varie tende con le più importanti marche e sponsor, osserviamo le imponenti strutture del campo centrale e diamo un veloce sguardo al campo dei Principi. Salendo le comode e larghe scale in pietra si superano due o tre terrazze mentre si raggiungono i campi secondari.
La voglia di vedere da vicino i campioni che si allenano è superiore a quella di vedere un match di qualificazione o un primo turno. Per quelli c’è ancora tempo, la giornata si prospetta lunga e piena di tennis. Andiamo accosti al campo 9 e vedo un Fognini che appare tennisticamente discreto mostrare a Dimitrov, dall’altra parte della rete, di che pasta è fatto il suo diritto. Ha messo su un altro poco di pancetta?
L’amabile "Penna" dovrà dirgli di stare a dieta. Comunque è agli spiccioli finali della sua ora e mezza di allenamentoe quindi, con mia grande delusione, non riesco a indovinare qual è il suo reale stato di forma. Ed ecco che le due ragazzine davanti a me chiamano Fabio a gran voce per una firma; lui si volta, sorride, torna indietro e scarabocchia la tesa del cappellino di una delle due. Fognini un musone?
No, pare proprio rilassato e contento. Speriamo sia di buon auspicio per il proseguo del torneo. In fondo lui qui è di casa, Arma di Taggia è a poche decine di chilometri più in là. Il tempo di volgere la faccia al bel sole della costa azzurra per cacciare via il pallore dell’inverno, ed ecco che un bel giovanottone entra in campo. “Berdyc” dice con voce lenta e sognante una delle ragazze.
Thomas è seguito da un ragazzo alto e allampanato, capelli insolitamente ricci e ribelli per un tennista del secondo millennio e faccia da bambino: è Alexander Zverev. Per me, infimo abitante della quarta categoria, vedere che anche i campioni iniziano il riscaldamento giocando a pittino, poi continuano provando il palleggio da fondo, poi tirano i dritti incrociati, i rovesci incrociati e infine le volèe e gli smash come un qualsiasi giocatore di club, me li fa sentire più vicini.
Adesso iniziano a fare quasi sul serio perché hanno deciso di giocare un set. Mi aspetto di vedere le geometrie potenti del ceco mettere in difficoltà il giovanissimo tennista di Amburgo, ma avviene esattamente il contrario. Zverev nei primi tre giochi lascia appena due quindici al più quotato avversario. Si muove come un fulmine, si piega con leggerezza quasi divina e il timing è perfetto sulla palla tanto da consentirgli di tirare rovesci a due mani e diritti con una velocità impressionante.
Berdich sembra un lento pallettaro al confronto, eppure nel circuito è noto per i comodini che tira agli avversari. Non seguo il punteggio, non è importante, seguo i movimenti di questi due bombardieri e mi rendo conto che se la palla di Berdich è più pesante, quelle di Zverev filano via più veloci. Nessuno dei due è un campione nelle vicinanze della rete, e infatti preferiscono cercare i vincenti dalla riga di fondo. E i vincenti arrivano.
Ora veleggia intorno al cinquantesimo posto, ma Zverev andrà avanti nel ranking, e molto presto anche. E se fosse lui a detronizzare Djokovic utilizzando le sue stesse armi? Devastante sicurezza da fondo con i vincenti tirati da ogni parte del campo e in ogni situazione di gioco. Per la cronaca: il giorno dopo sconfigge in scioltezza Rublev 61 63. Per lui il torneo di Montecarlo continua.
Vengo distratto da un pauroso ondeggiamento di folla al campo 11. Tutti corrono là. Chi c’è? Indovino prima ancora di vedere la maglietta da training con il logo RF. E’ il re dei re. Federer ci concede un’ora e mezza di allenamento incrociando la racchetta con un altro tennista che apprezzo molto, David Goffin. Non sembra in perfetta forma lo svizzero, almeno visto dalla mia postazione che non è comodissima. Sfoggia un taglio di capelli minimal che lo ringiovanisce. Regala qualche perla, come non potrebbe?
Ed io preferisco concentrarmi su alcuni particolari piuttosto che seguire la dinamica del gioco o del punteggio che non ha molto senso in questo caso. Mi focalizzo perciò sul suo rovescio, gesto così fluido e già definito liquido. Non c’è un centimetro della possibilità di movimento permessa alla biomeccanica umana che lui non sfrutti in relazione alla situazione ambientale.
Forse la preparazione, tutto sommato, non è così esagerata ma poi, quando il braccio si libera e attraversa con la racchetta la palla, la sua corsa continua felice fino a portare il piatto corde in verticale ben sopra la testa, quasi come una orgogliosa insegna innalzata in faccia al nemico. Se un impedimento alla vista mi nascondesse Federer e potessi vedere solamente quel che accade al di sopra del suo capo, lo riconoscerei immediatamente da quel gesto.
L’allenamento finisce in fretta, un’ora e mezza volata via. Lo svizzero ci impiega un buon quarto d’ora per districarsi tra la folla e raggiungere in sicurezza l’area riservata ai tennisti e vietata al pubblico. Lo pressano da tutte le parti, lo chiamano, lo strattonano. Il cordone delle guardie del corpo dura fatica a proteggerlo. E io che credevo che a Monte Carlo vigesse l’understatement. Sembra, al contrario, di assistere a un tifo calcistico.
Nel pomeriggio decidiamo di privilegiare una altro maestro del timing, un non-muscolare che manda nei matti gli avversari. Si tratta di Gilles Simon che in questo primo turno è opposto a Viktor Troicki. Non sembra davvero un turno facile per “Gilou”, attualmente 18 del ranking mentre il serbo è posizionato 24.
Sul campo centrale, dopo uno sguardo al bel mare azzurro e un altro al pubblico numeroso, mi concentro sul gioco. Anche da dove sono mi rendo conto di quanto bene sappia colpire la palla il francese. Ne raccoglie la forza e le rotazioni impresse dall’avversario, le addomestica e ne ripropone di nuove pennellando traiettorie che solo lui conosce. Simon è veloce, ma, soprattutto, è strategico e tattico.
Sa quando deve palleggiare, quando deve accelerare e quando deve rallentare. E ogni mossa è perfetta per mettere in difficoltà l’avversario. La partita fila via regolare fino al tre pari poi Gilou accelera e in un attimo è 63. Il secondo set sembra procedere sulla medesima falsariga ma Troicki non ci sta e, verso la fine, il match si infiamma e prende deciso vigore agonistico. L’ultimo game è da cardiopalma.
Gilou va sotto di due quindici poi recupera. Si vedono tutte insieme palle corte, incrociati stretti e accelerazioni più nell’ultimo game che in tutto il secondo set. Si va ai vantaggi ed assisto a una corsa a rete di Simon per neutralizzare una palla corta. Ci arriva di dritto e incrocia perfettamente, là dove Troicki non può arrivare. Dopo due set points per il serbo e un match point, al secondo match point il servizio del francese trova una risposta imperfetta del serbo e la partita si conclude.
Si conclude anche la nostra giornata. Rientriamo a piedi verso il parcheggio costeggiando il mare ed effettuando una breve deviazione curiosa verso la spiaggia che appare, anche lei, bella, perfetta e finta come l’intero Principato. Senonché, seminascosta tra gli alberi che dividono la spiaggia dalla strada, vediamo una piccola tenda con dentro due immigrati. Ohibò, la misera realtà irrompe dunque anche nel regno dei ricchi?